OPERE LETTERARIE

 

Fiume fu anche scrittore e, in tarda età, poeta. Dino Buzzati, oltre a stimarlo come pittore, apprezzava molto le sue opere letterarie, a cominciare dal suo primo romanzo Viva Gioconda! . Pubblicò spesso i suoi racconti nell’edizione pomeridiana del Corriere della Sera (Corriere d’Informazione). Per l’insieme della sua opera letteraria (romanzi, commedie, racconti e poesie), nel 1988 ricevette una laurea in Lettere Moderne, honoris causa, dall’Università di Palermo.

wgioconda

W Gioconda!
Romanzo
Mursia Editore
Milano
1975

Prima edizione
Viva Gioconda!
Bianchi-Giovini
Milano
1943

Acquista

“Quando io non avevo ancora compiuto undici anni, abitava vicino casa mia un calzolaio che scriveva lettere d’amore per sé e per gli amici. Dalla faccia che gli aveva dato natura non traspariva affatto ch’egli potesse scatenare sulla carta tanta poesia; eppure se ne vedevano gli effetti nella salute della figlia d’un sacrestano che abitava alla voltata della strada. Lui le aveva detto d’essere pazzo per lei e lei gli aveva stradetto d’essere fuori senno per lui. Ed era vero: perché lei, prima di ricevere quelle lettere di fuoco e di fiamme, aveva tanta ciccia che a suo padre aveva fatto balenare il peccato di pensiero di sposarla a peso con qualche forestiero facoltoso per non dare scandali in paese. Poi, invece, ogni illusione paterna era svanita visto che la figlia, Maddalena, era divenuta sottile e nervosa come uno zampillo d’acqua e le labbra che l’eran rimaste carnose le si erano spaccarellate a sangue come le pesche perché non riusciva di baciarselo, e quando mi passava davanti alla porta di casa con quell’argento vivo nelle gambe e nelle natiche secche e asciutte, mi sparpagliava nella mente quei quattro pensieri religiosi che m’aveva messo mia madre.” […]

maercolevince

Ma Ercole vince
Istituto d’Arte Mondadori
Milano
1976

di Salvatore Fiume

“I disegni riprodotti in questo libro li ho ritrovati dopo venticinque anni nelle grotte della mia vecchia filanda in Brianza.
E poiché il rinvenimento è avvenuto al lume di una torcia mi è sembrato di trovarmi di fronte a preziosi graffiti rupestri di un’epoca imprecisabile e comunque remotissima.
Certo si tratta del reperto di uno di quei lavori faticosi ai quali gli autori d’oggi non si dedicano più.
Perciò ne ho restaurato le parti danneggiate e ricomposto l’ordine in cui erano stati eseguiti per raccontare una delle più spettacolari fatiche di Ercole.”

inesfiume

Ines Fiume
Dedicato a Ines Fiume a un anno dalla scomparsa
Canzo
27 ottobre 1977

 

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“Mettiamo insieme un po’ di fotografie a ricordo di mia moglie rimasta nel cuore di molti amici indimenticabile per la sua semplicità e dolcezza.” […]

Ciavieddu

Ciavieddu. Ovvero la famosa tragedia di Comiso
Atto unico in due tempi
Ediprint
1978

 

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di Melo Freni
da “Incontro con Salvatore Fiume – Alle origini di “Ciavieddu” 

[…] “Il testo propostomi ha per titolo “Ciavieddu”, parola siciliana che significa “chiavistello”, traslata su un “ladruncolo”, un “Ciavieddu” capace di aprire ogni porta e rubare. Storia suggestiva, sin dall’inizio, più che per il suo stesso contenuto, per la vigorosa forma del racconto. Ciavieddu ritorna al paese natio dopo avere scontato 20 anni di carcere, convinto di aver pagato il suo tributo alla colpa e quindi fiducioso di rifarsi, purificato, una vita; ma il paese lo riconosce come l’antico assassino del mugnaio, che aveva denunciato il suo rifugio, e lo respinge, lo discrimina; quando Ciavieddu si innamora di Vanna, ragazza che lo corrisponde, il paese insorge e lo lapida a morte. La storia di un povero Giobbe dei nostri giorni [che però nella Bibbia è descritto come “integro e retto”, ndr], a dirla in breve. Ma la forza tragica della scrittura di Salvatore Fiume pare essere uscita per intero da un greco dell’Attica, da uno aduso a vivere alla maniera dei tragici greci il grande dilemma della colpa, della redenzione, della vendetta: senza alcun perdono, tranne quello ipotetico di un Dio sconosciuto.” […]

tesoropalagonia

Il tesoro dei Palagonia
Commedia in tre atti con illustrazioni di Salvatore Fiume
Epos Società Editrice
Palermo
1983

 

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di Massimo Ganci
da “Fiume, attestato di un’epoca” 

[…] “Oniricità, “hispanidad”, sofferenza dei poveri, nostalgia delle contrade isolane che guardano verso “il greco mare”, autobiografismo, formano l’ordito della commedia. È anch’essa la storia di un sogno che dà il via ad una vicenda narrata in chiave bonariamente ironica della quale sono protagonisti i genitori dell’autore e l’autore stesso, insieme con una folla di parenti, di conoscenti, di prelati, di aristocratici decaduti, di magistrati e di poliziotti. Attraverso l’evocazione onirica la Sicilia spagnola del seicento confluisce nel secondo decennio del nostro secolo, secolo in cui è ambientata l’azione scenica. Si giunge così a una sintesi di epoche presenti e passate che si risolve in un’atmosfera vagamente cosmica.” […]

I-sogni-di-Luisa

I sogni di Luisa
Romanzo
Rizzoli Editore
Milano
1983

 

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“La signora Luisa, ventitreenne, moglie del giovane dr. Nicola, importante funzionario di banca, era francese. Lui l’aveva conosciuta a Parigi. In Italia fu così facile cambiare il nome di Louise in Luisa, che neppure la signora se ne accorse. Ella a sua volta chiamò Nicol il marito, e a lui piacque quel cambiamento, che addolciva un nome troppo comune nell’Italia meridionale, specialmente nelle campagne. Certo, egli sapeva quanti ne conteneva, dei Nicola, la storia dei grandi uomini, ma i ricordi più recenti gli riportavano alla memoria accostamenti modesti e addirittura umilissimi. C’era voluta quella bellissima moglie francese per dare elasticità e forza nuova a un nome che Nicola sentiva tanto decrepito come se avesse le gambe molli fin da quando era un ragazzino. Anche gli amici e i conoscenti avevano notato il cambiamento che aveva operato su di lui il matrimonio con la bellissima Luisa, specialmente per via di quella particolare metamorfosi che era avvenuta nel suo nome. Non sarà inutile insistere sulla impercettibile correzione che Luisa apportò al nome del marito, perché l’omissione di quella finale aveva in effetti prodotto una profonda trasformazione nel carattere di Nicola. Basti sapere che egli, nei rapporti con il personale inferiore e superiore della banca e con i clienti, teneva un atteggiamento fermo, quasi distaccato e perfino prevenuto, al pensiero di chiamarsi Nicola. Ora, invece, si abbandonava in pose e discorsi addirittura espansivi, non appena, da qualche parte, la moglie o gli amici lo chiamavano Nicol.” […]

Natale-a-Comiso

Natale a Comiso
Commedia in un atto
Ediprint
1987

 

Acquista

D.M

“L’atmosfera è tutt’altro che natalizia in questa commedia intrisa di beffarde trovate popolaresche, agitata da risse verbali — che però non trascendono nelle manesche —, da ripicche e istigazioni e caparbietà di supremazia che, con varianti locali, sono reperibili in numerose città e cittadine. (Famose sono le beghe contradaiole senesi per il palio). Si avverte subito che umori e malumori corrispondono a una teatralità che non parteggia per nessuna delle due fazioni; riesca una a spuntarla sulla rivale, con sotterfugi e maneggi, è il divertimento che si intende ottenere.” […]

Tragedie-Drammi-Commedie

Tragedie Drammi Commedie
Sipario Edizioni
Milano
1990

di Salvatore Fiume

[…] “Fu Buzzati ad incoraggiarmi a scrivere racconti e relazioni di viaggi, prima per il Corriere Lombardo e poi per il Corriere d’informazione. Dai racconti alle commedie passai senza sforzo, anche perché il mio grande  consigliere mi spinse a provarci. La prima che scrissi fu quella intitolata L’asino di denari che a Buzzati era piaciuta nel racconto pubblicato sul Corriere d’informazione. Le altre, sotto la spinta dei suoi incoraggiamenti, vennero una dopo l’altra nel tempo fino ad arrivare alla tragedia di Ciavieddu scritta dopo la morte di Buzzati.” […]

·  L’asino di denari, commedia in un atto, 1952
·  Entra in casa una montagna, commedia in un atto, 1973
·  Il tesoro dei Palagonia, commedia in tre atti, 1977
·  Ciavieddu. Ovvero la famosa tragedia di Còmiso, tragedia in due tempi, 1978
·  Purchè sia bellissima, dramma in un atto, 1984
·  I veleni di Fun Ban, commedia in due atti, 1985
·  Il barbiere di Sicilia, commedia in tre atti, 1986
·  Natale a Còmiso, commedia in tre tempi, 1987
·  Quegli angeli ladri, commedia in due tempi, 1988
·  I Francesi in Sicilia, commedia in un atto, 1989

Scrivo-a-te-donna

Scrivo a te donna
Poesie
Camunia Editrice
Milano
1993

 

Acquista

Ogni mattina, dopo il segno della croce,
scriverti
è come recitare una preghiera.
Non si può far di peggio,
ma io so fare di meglio.
Ora che non ti vedo,
di buon mattino,
mentre tutti dormono,
prendo la penna, come un ladro prenderebbe
la chiave di un forziere,
e con la penna
rubo la vita che non mi appartiene
e scavo un camminamento
per raggiungere te che, contro ogni legge,
considero mia.
Questa penna è un grimaldello,
una fiamma ossidrica
e un sacco di altri arnesi da ladro
che io sono felice di possedere
perché mi fanno vivere
in questo orribile modo.
Temo che di questo passo
finirò per denunziarmi e
farmi cogliere sul fatto.
Così mi allontanerò tanto da me stesso
che non mi sarà possibile
dirti che t’amo.

paginelibere

Pagine Libere
Saggi brevi
Sanzanobi
Firenze
1993

Acquista

“Chi non vorrebbe essere un genio? E chi vorrebbe esserlo anche se nessuno se ne accorgesse?
Ennio Flaiano diceva: “La più grande delusione per un genio è essere compreso”.
I geni sono esseri seri e terribili: si tratta di uomini, come noi, dotati di qualità, intuizioni, capacità che nessuno ha, fuor che altri geni come loro.
Gli uomini che gli stanno accanto sono piccoli, a volte piccolissimi, e benché se ne rendano conto perdono il tempo ad invidiarli. Se poi, tra questi, ce ne sono di cattivi, essi si adoperano con tutte le loro forze a calunniarli, denigrarli e ostacolarli. Io direi che si deve prendere in particolare considerazione chi viene denigrato, diffamato e ostacolato perché è assai probabile che si tratti di un genio.
C’è chi si domanda perché un genio debba essere bersaglio di tanti fastidi: dipende dal fatto che egli è vivo. Appena muore viene osannato al punto che molti suoi denigratori si vantano d’essere stati suoi amici.
La cosa buffa che capita fra i piccoli è che, quando muore uno di loro, negano di averlo conosciuto e d’essere stati suoi amici.
Il motivo per cui è denigrato un genio dipende dal fatto che egli dimostra d’essere l’autore di opere eccezionali, non comuni, straordinarie, ma, soprattutto, di essere vivente. A noi interessa la sua opera, non lui. Quando egli muore, il suo genio è considerato cosa di Dio e la sua opera viene apprezzata perché finalmente si può pensare che lui non c’entri per niente. E forse è così.”

“Di tutte le invenzioni prodotte dalla mente umana la peggiore è il denaro. Non riesco ad immaginare colui il quale mise nei rapporti umani il denaro. Immaginare oggi la società senza il denaro che ne regola il novantanove e mezzo per cento dei rapporti è impossibile. Impossibile perché si dovrebbe trovare qualche cosa che lo sostituisca. 
Per sostituirlo ci vorrebbe un elemento che non inducesse all’avidità, all’avarizia, al gioco d’azzardo, ai sequestri di persona, all’ipocrisia, alla bugia, all’infingardaggine, alla miseria e alla ricchezza. Credo che uno dei mali peggiori che producono guerre, assassini e tradimenti, sia il desiderio e il possesso del denaro.
Se le scoperte scientifiche e i progressi della tecnologia non fossero per procurarsi quanto più denaro possibile, sarebbero molto indietro o sarebbero più avanti? E’ o non è cosa triste, abominevole, aver inventato il denaro?
Ma ormai c’è e non credo che alcuno sia capace di sostituirlo. Unica cosa da fare è renderlo tanto abbondante che non valga la pena di desiderarlo e che lasci indifferenti perderlo.
Ma la cosa migliore sarebbe privarne tutti.”

“Per poter scrivere, si prendono un foglio bianco e una penna. C’è chi scrive a macchina; cosa che una volta sembrava essere innaturale mentre ora è come prendere carta e penna.
Fra chi scrive, o batte a macchina, e la carta sulla quale devono andare le parole, si stabilisce un legame costituito da molti elementi contradditori. Non sempre avviene in modo troppo evidente, ma chi scrive vede davanti a sé un foglio simile a quello sul quale furono scritte la Divina Commedia, l’Amleto, il Faust e ora destinato a ricevere chi sa quale fesseria. E’ meglio non pensarci e illudersi che quello è il primo foglio della storia dell’umanità. Illudersi di inventare addirittura la scrittura, le prime parole, la letteratura. Fra chi scrive e la carta si mettono in mezzo delle paure: la diffidenza nell’affidare alla penna l’incarico di rendere visibile ciò che si vorrebbe lasciar segreto, la decisione di non dire ciò che si pensa veramente – l’allettamento a dir tutto, visto che si è soli – l’allarme di non essere più soli perché lo scritto è già un testimone, un amico infedele, tradimentoso. Cosa fare allora? Buttar via la penna, sfilare il foglio dalla macchina e, accartocciato, buttarlo nel cestino? Spesso questo si fa – poi però si riprende un foglio e lo si guarda come se fosse uno specchio – sembra che ci sia già tutto scritto e che non resti che firmarlo. Debbo dire che non c’è gusto a firmare un foglio bianco. E’ come dare il nome a un bambino non nato. E lo specchio è lì davanti: uno specchio bianco che non riflette nessuno. Eppure noi sappiamo cosa c’è scritto: c’è quello che vorremmo scriverci, e quello che vorremmo scriverci è bellissimo come la Divina Commedia, l’Amleto, il Faust – bellissimo: pieno di fatti, di amori – di storie straordinarie – non occorre neppure firmarlo, tanto si capisce che l’abbiamo scritto noi.”

“Poesia – poesia – non si sa che cosa sia. Forse non lo sa neppure il re di Svezia. Vista da una angolazione utilitaristica è cosa che si potrebbe buttar via: non serve a nessuno e meno ancora ai poeti che con quella occupazione non riuscirebbero a vivere un solo giorno. Eppure noi consideriamo la poesia e chi la fa, al vertice delle umane manifestazioni. Noi consideriamo banale qualunque azione che manchi di poesia. Ma che cos’è la poesia? Ci sono già delle definizioni? Se dovessi essere io invitato a definirla mi verrebbero le vertigini. Se dovessero costringermi ad indovinare che cosa è direi che a me sembra essere una faccenda umana agganciata a bellezze invisibili e impalpabili che vogliono esistere fra di noi e che s’infilano nell’esercizio della parola, in quello delle arti e delle azioni dei viventi in generale. S’infila nell’amore, s’infila nella pietà, nella bontà, nella fragilità umana e specialmente in tutto ciò che non ha riscontri unicamente utilitaristici. E’ e non è intransitiva – il che vuol dire che non rimane nello stesso soggetto che la fa o che la adopera. A che cosa serve? Se dovessi dire a che cosa serve non saprei cosa rispondere. Potrei dire: “forse a dar gusto alle nostre cose, alla vita, come il sale nella minestra e lo zucchero nel caffè”. Però è difficile sapere veramente che cosa è e a che cosa serve: come la nascita, ed anche la morte, è impalpabile e senza spiegazioni. Se fossi interrogato da un professore – a scuola – direi: “Ce l’ho sulla punta della lingua, non mi ricordo: eppure stamattina lo sapevo”.”

“Io ammiro Picasso; trovo nella sua opera tanta forza, tanta genialità, tanta potenza da farmelo porre nel nostro secolo alla pari di Michelangelo nel suo. Come si sa dopo Michelangelo tutto è diventato michelangiolesco. Michelangelo, cioè, ha influenzato, oltre al suo, tutti i secoli venuti successivamente. Dopo Picasso, tutto è diventato picassiano – se non lo è diventato nello stile, lo è diventato nello spirito – ma la cosa straordinaria è che anche Picasso è michelangiolesco – se non lo è nello stile, lo è nello spirito. All’interno dell’opera di Michelangelo, come in quella di Picasso, c’è una forma di ribellione, c’è una forma di strafottenza e c’è una forma di anticonformismo che si direbbero prodotti da una irrefrenabile forma di egocentrismo. Ma quel che mi preme di dire è che nell’opera di Picasso si possono leggere altre componenti: ad esempio, la crisi nell’arte della nostra epoca.
Dal periodo del Rinascimento in poi i valori sono andati scemando, i geni che sono venuti dopo non sono stati della stessa altezza di quelli di Beato Angelico, di Piero della Francesca, ecc…Al nostro secolo è toccato non averne affatto. I valori dell’arte si sono abbassati tanto da toccare terra. Nell’opera di Picasso si può leggere tutto ciò. Nel suo primo cinquantennio è leggibile lo sforzo di esprimere il massimo cercando di fare qualche cosa di altissimo e di straordinario. Nella seconda fase della sua vita artistica le forme, le idee, i disegni si disfano, diminuiscono di intensità, dimostrano lo stato di distruzione che conduce al vacuo ed inutile e continuerà nell’arte contemporanea dopo la sua morte. Nell’opera di Picasso si può leggere l’avventura dell’arte del nostro secolo, che per la sua irrequietezza, anche se non è dei più alti – è dei più originali, questo sì.”

“Non so a chi possano servire alcune esperienze che hanno fatto di me un uomo, oramai, poco incline a credere nelle promesse e nella buona fede altrui. Oramai accetto con indifferenza o con incredulità le espressioni di ammirazione e le manifestazioni di generosa disponibilità a rendere universale la conoscenza di quanto ho prodotto nell’arte in sessant’anni di lavoro. Forse sono anche più di sessant’anni quelli impegnati a scrivere, a dipingere, a far scenografia, a far scultura, a fare anche architettura e a disegnare su migliaia di fogli di carta. Ho prodotto migliaia di opere grafiche e tante altre cosa che non sto né a descrivere né ad enumerare. Tutti sono concordi nel ritenere che pochi artisti del mio tempo hanno lavorato tanto e che nessuno si è dedicato così seriamente allo studio e alla realizzazione di opere nelle quattro delle cinque arti: la pittura, la scultura, l’architettura e la letteratura. Pur tuttavia non è stato mai possibile promuovere una mostra che esponesse al giudizio della gente e della critica, favorevole e sfavorevole, la massa di lavoro realizzato in sessanta e più anni.
Adesso io sono alla soglia del sessantaseiesimo anno e vivo incontrando persone, che mi sembrano arrivate sulla terra da altri pianeti, le quali stanno impegnandosi affinché l’esposizione da me desiderata abbia luogo non solo in Italia ma anche in vari punti del mondo.
Io mi scuso con loro se li osservo con un po’ di incredulità dati i risultati negativi ai quali mi sono abituato in analoghe condizioni. Unico conforto che mi viene incontro è pensare che molti sono rimasti delusi tentando di volare e poi, invece, ci sono riusciti al punto da raggiungere la luna e passeggiarci sopra.
Confesso, comunque, e dico amaramente: “tutto è possibile se si è vivi, ma tutto è più probabile dopo che si è morti”. Naturalmente mi riferisco alle mie esposizioni.”

miserabili

I miserabili
Racconti autobiografici
Sanzanobi
Firenze
1994

 

Acquista

“I miserabili nei quali mi sono imbattuto lungo una settantina di anni non sono miserabili seri come quelli di Victor Hugo, sono miserabili del genere che il dialetto siciliano chiama “MISERABBILI” volendo, con quel termine, indicare gli invidiosi, i millantatori, i vanitosi, i presuntuosi, gli avari e, ingiustamente, anche i pavidi.
Non è detto che io non sia fra questi, ma, dato che non sta bene parlare di se stessi, parlerò solo degli altri.
A undici anni io composi un pezzo musicale, musicai una preghiera trovata in un libretto religioso donatami dal presidente del circolo cattolico del mio paese. Musicai quella preghiera cantandomela molta volte e cacciandola così bene a memoria da poterla ripetere senza guardare le parole nel libriccino. Debbo dire che la mia prima passione fu musicale. Avrei voluto imparare a suonare il pianoforte che c’era in casa di un mio compagno di scuola figlio dell’organista della chiesa dell’Annunziata. Ma quando quell’organista mi sorprese, seduto al pianoforte con suo figlio che m’insegnava a suonarlo, andò in bestia. Disse che glielo stonavamo e, con quella scusa, il miserabile, mi tolse l’unica possibilità di avvicinarmi alla musica -essendo egli l’unico in paese che la sapesse.” […]

La-risata-del-fauno

La risata del fauno
Poesie
Connection / Paul Metzel
Milano
1995

 

Acquista

Solo
Davanti al mare di Puntasecca
perdo la cognizione dei millenni,
mi sembrano,
quelle,
orme lasciate poco fa
dal calpestio dei Greci
nella sabbia
e che siano, quelle,
orme delle lucertole
scappate tra i canneti
al loro arrivo.
Ho qui l’impressione
d’essere l’ultimo Greco
che i suoi compagni 
partendo
hanno dimenticato
in Sicilia.

foto

La musa inattesa
Poesie
Sanzanobi
Firenze
1995

 

Acquista

L’amore non è un mestiere
né un’arte:
è un mistero
che si può contemplare,
ma che va consumato
sperando
di capirne
sempre di meno.

Che-storie-son-queste

Che storie son queste
Racconti
Edizioni Larus
Bergamo
1995

Quel momento di guerra

Ero stato dimesso dall’ospedale militare, avevo consumato il mio mese di convalescenza ed ero tornato al reggimento, precisamente nel periodo in cui fervevano i bombardamenti inglesi e americani su tutta l’Italia.
Per dare un’idea del come era attrezzato il mio reggimento a fronteggiare quella situazione, dirò che aveva pochissime mitragliatrici, pochi fucili e persino pochi secchi di sabbia, che dovevano servire per spegnere eventuali incendi causati dagli spezzoni incendiari che gli aerei nemici, fino a quel momento, scaricavano, come fossero patate, sulla città.
Io fui assegnato, come aiutante maggiore, al comandante di una caserma.
I nostri uffici erano uno di fronte all’altro, divisi da un muro e una porta di fronte alla quale c’era il mio tavolo di qua ed il tavolo del comandante di là.
Quel maggiore comandante era poco loquace. Riceveva dispacci sigillati che lui dissigillava e che abilmente nascondeva.
Dato il momento critico, e anche perché, da richiamato, avevo lasciato a casa mia moglie col figliolo di due anni, avrei voluto scoprire a cosa preludeva tutto ciò che contenevano quei pacchi sigillati. Dal mio tavolo, osservavo ogni mossa e ogni espressione del mio comandante sulla segreta lettura di ciò che io non riuscivo a vedere, perché lo teneva dentro al cassetto che tirava a sé, aprendolo fino a portarselo al petto. In certi momenti, sollevava il viso dalla lettura e si grattava la testa, fissandomi.
Appena veniva chiamato al telefono, che non aveva sul suo tavolo, ma nell’ufficietto del telefonista, chiudeva a chiave il cassetto e spariva portandosi via la chiave.
I giorni passavano carichi di brutte notizie, ed io diventavo sempre più curioso di conoscere qualche notizia che non fosse delle tante che circolavano, proprio di quelle che avrei potuto scoprire dentro quel maledetto cassetto.
Ero sicuro che il mio comandante riceveva, com’era consuetudine militare, dispacci, ordini, contrordini, allarmi.
Sapevo benissimo che, ormai, la confusione fra ordini, contrordini e dispacci era quotidiana, mentre stavamo perdendo la guerra, e che, perciò, non dovevano essere presi sul serio; ma gli allarmi si, quelli si, perché ogni volta che ne arrivava uno, qualche guaio accadeva.
Giacché eravamo, sia io, sia il mio comandante, nella stessa bagna, mi domandavo perché non mi mettesse a parte delle notizie speciali che lo facevano riflettere, lette dentro il cassetto per non farmele vedere.
Sapeva benissimo che, ormai, si trattava di vita o di morte stare in mezzo a quell’inferno, per di più tutti e due richiamati: lui da maggiore, io da sottotenente.
Stavo impazzendo dalla paura e dalla curiosità di conoscere il contenuto dei dispacci, che facevano riflettere il comandante e che gli facevano corrugare la fronte in svariati punti della lettura, quando arrivò un caporale di corsa a dirgli che c’era già, in caserma, il generale di divisione che voleva parlargli. Il sobbalzo del mio comandante fu immediato e immediata la sua uscita dall’ufficio.
Finalmente il cassetto era rimasto con la chiave attaccata.
Appena lui fu fuori, mi precipitai alla sua scrivania e, col cuore che mi batteva in gola, aprii il cassetto. Quello che il comandante leggeva era un libro di Salgari intitolato: “La Tigre del Bengala”.

linda

Linda
Racconti siciliani
Connection / Paul Metzel / Matteo Dinunzio
Milano
1995

di Karl Lubomirski 

[…] “Il linguaggio e lo stile di Fiume non s’inerpicano, non diventano maniera, non s’inchinano al gusto contemporaneo, non mendicano. Per un architetto di talento e originalità bastano i mattoni tradizionali. Fiume rimane inconfondibile, indifferentemente se disegna, scolpisce o dipinge. Fiume può permettersi di esprimersi comprensibilmente a tutti, anche se la sua arte rivela al conoscitore la sua originalità e grandezza. Fiume si confronta con l’uomo per il quale crea. Senza complessi e ripensamenti.” […]

Antico-rogo

Antico rogo
Poesie
Connection / Paul Metzel
Milano
1996

Mezz’ora
mezz’ora della mia vita
mezz’ora nella mia vita
vuota completamente
la mezz’ora
in cui
non ci conosciamo ancora.
Fra mezz’ora
Il nostro incontro
può cambiare completamente
la mia e la sua vita.
Cosa scriverò
In altro foglio
dopo che questa mezz’ora
sarà finita?
Riempirò di lei
la poesia
o è già poesia
quella mezz’ora
senza me
né lei?

Lettere-clandestine

Lettere clandestine
Romanzo
Edizioni Larus
Bergamo
1996

 

Acquista

“Amici comuni miei e del marchese Ferdinando D’Aragona mi avevano detto a Palermo che proprio il marchese desiderava conoscermi. Pensai che volesse un ritratto, che mi avrebbe ospitato nel suo castello, che il ritratto l’avrebbe voluto a cavallo, in costume. Ma di quale epoca?
Queste domande rivolsi ai miei amici e questi risposero che il marchese non aveva una lira e che non abitava in un castello ma in una parte di un immenso palazzo affittato ad una miriade di famiglie, anch’esse povere o quasi, che gli pagavano affitti di miseria, come suol dirsi.
“Ma allora, cosa vorrà da me?” – mi chiesi e lo domandai anche ai miei amici che non seppero cosa rispondermi.
Confesso che non conoscevo la storia dei D’Aragona e che mi preoccupai di saperne qualche cosa, se non altro per non trovarmi ignorante dell’importanza del personaggio che avrei incontrato.” […]
Sì, era un nobile decaduto, giacché era un marchese senza una lira, ma ciò non mi permetteva di ignorare chi fosse e chi fosse stato, dal momento che aveva espresso il desiderio di conoscermi.” […]

fiumeamilano

Salvatore Fiume a Milano
Poesie
Collana Carte d’Artista
Stamperia d’Arte l’Incisione
Milano
1996

di Dario Fo

“Dico: Salvatore Fiume. E vedo subito una donna.
Anzi, tante donne. Femmine in quantità!
Femmine sdraiate mollemente o in piedi,
appoggiate sull’anca con un braccio ripiegato sul petto.
Donne che accavallano le gambe con grande
sapienza, gambe che alzano guaine lunghe che lasciano
scoperto un breve tratto di coscia bianca. Calze rosse,
bianche…d’oro. I seni sono poppe palpitanti.
Gli occhi sono grandi ma spesso socchiusi con lunghe ciglia
che fanno cortina. La scena è invasa da un languido
torpore. Spesso c’è aria tutto intorno… e l’aria si muove.
Sventolano tendaggi di broccato e veli sottili
e alberi carichi di fronde. È chiaro, quelle donne
hanno appena fatto l’amore o sono in procinto di farlo.
Aspettano. Respirano lente con ritmo profondo come
l’altalenare di grandi onde. Non hanno fretta.
L’amore senz’altro non può TARDARE.
Così anche quando Salvatore Fiume parla di una città o
addirittura dialoga con una città, quella è una donna.
Milano, immensa femmina, affiora gigantesca dalle nebbie.
Di lei emergono, come da un bagno di latte macchiato,
fianchi, seni, cosce, glutei di cemento e una gran testa
di ghisa con capelli fatti coi resti della stazione centrale.
Il dialogo fra Salvatore Fiume e la femmina Milano
è assurdo e quasi ovvio.
Lo stesso conversare di Gargantoi con
la cattedrale di Nôtre Dame:”Dove vai?Chi sei?
Cosa fai? Cosa vuoi?” sono domande terribilmente
elementari ed è così difficile rispondere.”

cucinaartista

Cucina d’Artista
20 ricette ideate e realizzate da Salvatore Fiume
e 20 piatti di alta cucina dedicati a personaggi della storia europea di Toni Sarcina,
con tavole a colori e foto di Salvatore Fiume
Edizioni San Paolo
Milano
1997

 

Acquista

di Antonio Tarzia

[…] “È ormai ora di pranzo e qui a Fiumefreddo, al cospetto del mare, assaporando la salsiccia di pesce, i fiori di zucca ripieni di gamberi in pastella, la frittata di triglie… nasce l’idea di fare un libro. “Sono tutte ricette mie”, dice il maestro, “eseguite alla perfezione da Zaù. È il nostro gioco dell’estate, fare e rifare un menù fino al suo apice di gusto universale che piaccia a tutti: vorremmo invitare a pranzo tutti i nostri amici, ma come si fa?”.
“Facciamo un libro!”.
Come editore ho dovuto penare un po’ perché l’artista, anche se costretto in cucina, non perde la sua indole ribelle, incostante, frenetica, imprevedibile, sconcertante: il genio è così.
Ho chiesto aiuto all’amico Toni Sarcina per una verifica professionale ad altissimo livello e una ricerca storica sulle ricette legate ai personaggi.
L’ironia del maestro Fiume è esplosa in questi schizzi colorati, così freschi e così perfetti che riescono a trasmettere la sua gran voglia di vivere.”