PALAZZO DONINI · PERUGIA

Nel 1949, dopo aver visto la mostra alla Galleria Borromini di Milano, Bruno Buitoni Sr, presidente della Perugina, commissionò dieci dipinti a Fiume sul tema delle avventure, sventure e glorie nella storia della Regione Umbria. Fiume li realizzò fra il 1949 e il 1952. Nel 1988 le dieci opere furono donate dalla Finanziaria Buitoni alla Regione Umbria. Ora sono esposte permanentemente a Perugia nella Sala Fiume di Palazzo Donini. 

TESTI CRITICI

SALVATORE FIUME

 

Quando incontrai Bruno Buitoni che mi chiamò a Perugia sembravano finiti i tempi in cui alle spalle dei pittori poveri arrivavano, come inviati da Dio, i mecenati che si avvicinavano dicendo “Venga a casa mia e dipinga per me dieci quadri di tanti metri per tanti metri”. Invece nel 1949 ce n’era ancora uno. Era venuto a Milano in occasione della Fiera. Io ero seduto e disorientato dentro una galleria d’arte dove tenevo la prima esposizione dei miei quadri. Girandomi verso sinistra e alzando gli occhi vidi quel signore alto, sulla cinquantina, molto elegante, che teneva in mano un biglietto da visita. Guardandolo dal basso in alto, mi vidi porgere quel biglietto e sorridere. Io lo presi come un mendicante prende l’elemosina e, senza guardare cosa ci fosse scritto, lo misi in tasca educatamente quasi fosse stato un atto irrispettoso controllare l’obolo ricevuto. “Può venire da me a dipingere una decina di quadri grandi?” mi disse. “Dove?” chiesi io. “A Perugia, nella mia fabbrica”. “Perchè, lei ha una fabbrica a Perugia?”. “Sì” mi disse. “Va bene” risposi io “Mi dia il suo indirizzo”. Andai a prendere la penna nel retrobottega e scrissi il tutto in una cartelletta da disegno. Quando ebbi terminato, quel signore mi fece restare a bocca aperta, dicendomi: “Volevo evitarle la fatica di scriversi il mio indirizzo”. “E come avrei fatto a sapere chi è lei e dove abita?” domandai sorpreso. “Leggendo il mio biglietto da visita” mi rispose. E mi salutò andandosene con un sorriso amichevole e paterno.

GIOVANNI FACCENDA

da La modernità di una pittura che risale alla maestà dell’antico Salvatore Fiume
Mito e classicità alle soglie della Metafisica
Liberamente People Art Production, Roma, 2008

…Dovendo indicare l’urgenza invero determinante all’origine della florida creatività di Fiume, non esiteremmo a indicare quel suo essere, sentirsi e manifestarsi pictor classicus già in alcuni eccellenti dipinti portati a termine sul finire degli anni Quaranta, emblematici per qualità di pittura, rigore prospettico, aura solenne, ordine monumentale. Una classicità che non rappresenta soltanto l’aspetto più limpido della sua vocazione, ma è al tempo stesso sorgente culturale, sollecitazione filosofica. Quanto di razionale appartiene alla vertiginosa altezza estetica di un Quattrocento, che riecheggia in lui attraverso i capolavori di Paolo Uccello e, soprattutto, Piero della Francesca, feconda un’utopia architettonica concretizzata in un gruppo di tele di eccezionale efficacia, nelle quali è possibile osservare un’ideale, esclusiva sintesi tra pittura, scultura e architettura… 

MARISA VOLPI ORLANDINI

Salvatore Fiume
dal Catalogo della Finanziaria Buitoni
Perugia, 1988

… Salvatore Fiume quando assunse il compito di istoriare queste vicende, si trovava di fronte ad una serie di problemi da risolvere, certamente non facili: l’anacronismo del suo rapporto obbligato con temi, iconografie e committente; la complessità dell’invenzione compositiva che richiedeva un’ampiezza epica di concezione e una grande perizia tecnica, infine il luogo intellettuale nel quale porsi per raggiungere uno stile significativo, in un panorama italiano che scintillava di ardori neofiti verso la cultura cosmopolita, filtrata vivacemente dopo i decenni più angusti del periodo fascista. Direi che ad ognuno di questi problemi il pittore seppe dare l’unica brillante risposta possibile: in stesure luminose e timbriche, di un olio che fà pensare piuttosto alla tempera o all’affresco per la grande leggerezza. Fiume coglie immagini e ritmi delle scene drammatiche e dei combattimenti con una sapiente naïvetéé, contrappunto ironico all’uso appassionato e virtuoso del linguaggio visivo della metafisica. Con l’immaginazione e la tecnica attente al grottesco e all’onirico delle “Battaglie di gladiatori” dechirichiani, o alle stilizzazioni arcaizzanti di Campigli e di altri artisti del Novecento, l’artista infatti, come un abile prestigiatore, fà scaturire di lì una folta messe di personaggi, di tagli compositivi complessi, di suggestioni poetiche. Ma soprattutto è l’indicazione di clima stilistico che gli fornisce la chiave per una personale evocazione di un repertorio più vasto, dove Paolo Uccello – che del resto aveva dipinto un avvenimento della storia umbra “La Battaglia di Sant’Egidio” -, Piero della Francesca, Giotto perfino, ma poi maschere primitive africane, stemmi araldici, arcaismi novecenteschi, sono usati con libertà ragionata e fantasia scatenata, con precisione mirabile o con ammiccante gioco teatrale, per realizzare una narrazione del tutto moderna ed aggiornata proprio nel suo anacronismo…