LE IPOTESI

1983 · 1992

Nei diciotto dipinti, che formano il ciclo delle Ipotesi, sullo sfondo di immagini tipiche dell’opera di Fiume, come le Isole di statue, o accanto ad alcune sue figure femminili, compaiono elementi tratti da opere di artisti moderni come Manet, Picasso e de Chirico intrecciati ad elementi pittorici di maestri antichi, come Botticelli, Tintoretto, Raffaello, Rembrandt, Rubens e Velázquez. Fondendo diversi capolavori della storia dell’arte con elementi della sua pittura, per mezzo delle sue Ipotesi Fiume esemplifica il concetto a lui caro di contemporaneità di tutta l’arte e finisce per consegnarci una sorta di personalissima summa della pittura europea dal Rinascimento al Novecento, proponendosi implicitamente come l’ultimo erede, fra i suoi contemporanei, di quella grande tradizione. 

TESTI CRITICI

VITTORIO SGARBI

da Fiume senza tempo
Fiume a Mosca
Augusto Agosta Tota Editore, Parma, 1991

…Fiume osserva Goya e Manet, riprende, rielabora e ricostruisce la pittura dei maestri moderni, e, ignorando tutto quanto non è ancora entrato in quella vera storia che è la nostra memoria, evitando quindi il dialogo con le avanguardie, gli artisti contemporanei, i ricercatori di strade nuove, dà la continua dimostrazione che la poesia come la grande pittura nega la storia, nega il tempo e sovverte l’ordine regolare delle cose, lo sviluppo cronologico degli eventi. La sua parabola pittorica traduce in immagini il pensiero di Borges. Ciò che precede non è necessariamente prima, e, per organizzare il giudizio, occorre essere al punto terminale di un percorso storico. Se noi osserviamo la pittura da Giotto agli Impressionisti ci rendiamo conto che non solo non c’è sviluppo, non solo non c’è crescita ma che potremmo idealmente organizzare un concorso, una gara fra artisti prendendoli da secoli diversi. Il primo non è il primo e neanche l’ultimo in un percorso ribaltato. In questa logica, il primo potrebbe essere Piero della Francesca, il secondo Caravaggio, il terzo Giotto, un pittore del Quattrocento, uno del Seicento e uno del Trecento, o qualunque altra combinazione possibile che ci consenta di stabilire primati senza dover seguire nessun ordine prestabilito. Questa astuzia della memoria contro l’organizzazione della storia, questi primati imprevedibili trovano una perfetta rappresentazione in quei dipinti nei quali Fiume mette insieme Raffaello, de Chirico, Henry Moore, facendoli convivere in un solo spazio perfettamente plausibile, e quasi normalizzando le diversità delle immagini e degli stili. C’è uno stile Fiume che, pur rispettando i caratteri di de Chirico e quelli di Raffaello, riesce a rendere plausibile la loro convivenza; quindi uno stile contro gli stili o contro l’appropriarsi che degli stili fa la storia. Un pittore che noi osserviamo non è del Seicento ma è del Novecento, non è del Trecento ma è del Novecento, non è del Cinquecento ma è del Novecento e sarà non dei primi secoli ma di tutti i secoli a venire. Fiume li raccoglie tutti nella rete della propria pittura e la riporta alla linea di partenza per la gara, li allinea annullando le differenze e preservandone le distinzioni, che sono quelle identità che noi abbiamo memorizzato e ci fanno riconoscere de Chirico, Raffaello, Velázquez, Manet, Giotto, ma che non ci impediscono di vederli tutti continuamente contemporanei. La scelta che ha fatto Fiume è quindi una dichiarazione, una esplicitazione del semplice meccanismo descritto all’inizio, per cui la poesia si nega alla moda, lascia al presente il corpo di chi la produce e si trasporta, si trasferisce in qualunque altro tempo. Attraverso le immagini Fiume ce ne dà dimostrazione, e quindi le Maje di Goya sono Maje di Fiume, sono Maje nostre, sono figure femminili di una ossessione che non ha limite né tempo, sono immagini contemporanee dell’eros, della passione, dell’amore; così come i versi che riguardano Silvia, Nerina o qualunque altra immagine poetica, non hanno niente a che fare con la figura reale che le ha determinate, perché diventano amori della nostra vita, amori della nostra personale storia… 

GIANCARLO LACCHIN

Bellezza e metamorfosi della memoria: la poetica delle Ipotesi di Fiume
Salvatore Fiume: identità di un protagonista a dieci anni dalla scomparsa
Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea, Arezzo, 2007-2008

…È una tensione dialettica quella che anima la vita del capolavoro, è una “traiettoria eccentrica” che mai volge alla ricomposizione dei contrasti, ma li lascia vivere in un legame superiore e in una diversa e più alta destinazione. «Mediante un’unità superiore – afferma Novalis – l’artista concentra diversi mestieri e questi stessi per mezzo di una tale superiore concentrazione acquisiscono un superiore significato». Quando il pittore, vittorioso e tenace, agisce sulle masse, sui corpi, sui colori, è allora che il legame con l’antico si fa presente ed efficace e che si comprende come la novità dell’antico sia l’antichità del nuovo; è allora che si apprende la continuità ininterrotta del tempo. Proprio questo è l’orizzonte su cui si muove la pittura metafisica di Salvatore Fiume, nella quale il nuovo nasce sempre sulla metamorfosi vivente dell’antico e l’artista, riprendendo le sue parole, «può correre al contrario: correre sulla scia del tempo che è passato». Se, come afferma anche Benjamin, «l’antichità esiste solo dove uno spirito creativo la individua», allora la poetica fiumana delle ipotesi rappresenta il paradigma di un sapiente dialogo fra passato e presente che si articola su una vivace e persistente dialettica fra intuizione e riflessione, fra accoglimento-percezione del senso e fondazione di nuovi miti per il presente. Arte romantica allora? “Pittura della pittura”, per parafrasare una celebre definizione che Friedrich Schlegel riconduce alla poesia? Certo, il romanticismo è romantizzazione, è movimento progressivo continuo di definizione delle forme e del senso, ma la riflessione, in Fiume, è sempre guidata dall’intuizione, come studio profondo e vivo dell’antico e individuazione di una nuova antichità; essa è forma formata e forma formante del tempo dell’arte e della storia. La pittura di Fiume rappresenta così il senso eccezionale di una modernità complessa, articolata, molteplice, profonda. Pittura indubbiamente “educata”, votata a un culto genuino delle forme, ma al contempo gravida di potenza autenticamente mitopoietica. L’inserzione del classico non è così pura citazione ornamentale, puro esercizio di maniera, ma composizione di materiale vivente nell’ordito e nel tessuto della storia dell’anima. È così che prende forma il ciclo delle Ipotesi (1984 – 1992), testimonianza di una nuova e sconcertante contemporaneità dei capolavori. La coscienza dell’artista diviene nell’ipotesi coscienza del tempo vivente. L’ipotesi è così esempio di una possibilità, forse la più alta: la possibilità del dialogo nel tempo fra i tempi, nello spazio fra gli spazi, la scoperta stupefacente dell’eterna simultaneità dell’opera d’arte. «Non è una novità – dice Fiume – che una manciata di millenni corrispondano a pochi secondi rispetto alla immensità incalcolabile del tempo». Ecco allora che l’eterno diviene il nuovo, e l’ipotesi la forma moderna di una nuova mitologia. Se, come riconosce il pittore, «ogni opera è la materializzazione di un’ipotesi», allora la stessa ipotesi è impronta di un’opera d’arte totale, traccia indelebile di un nuovo linguaggio dell’origine, nel quale trova fondamento l’essenza del grande stile, del “classico”… 

LUCA BEATRICE

da Ipotesi Fiume
dal catalogo della mostra Salvatore Fiume, un anticonformista del Novecento
Spazio Oberdan, Milano 2011

…Dopo quasi mezzo secolo di minimalismo, di fredda oggettualità che delega la realizzazione finale a un tecnico specialista o a un sistema di produzione industriale, ecco tornare il desiderio di adesione sentimentale, di un rapporto privato, intimo, tattile e sensuale con la materia e il supporto.
Essendo questo il dibattito caldo nel presente, dobbiamo allora affermare che Salvatore Fiume a tale conclusione ci è arrivato poco meno di trent’anni fa, con un anticipo davvero sorprendente. Stiamo parlando del 1983 circa (allora il pittore siciliano aveva da tempo raggiunto piena maturità e notorietà) e in particolare di quel ciclo di lavori noto come Le Ipotesi, sorprendente e intuitivo per un artista comunque “etichettato” come tradizionalista, non fosse altro che il suo principale mezzo espressivo, dagli anni Quaranta in poi, è stato la pittura.
Ma facciamo un passo indietro. Si pensa a Salvatore Fiume come a un anticonformista del Novecento, ovvero a un artista volutamente oltre le mode, deliberatamente concentrato sulla propria ricerca, poco incline a frequentare gruppi o sottoscrivere movimenti. Insomma, uno che andava per i fatti suoi, prendendosi gli indubbi vantaggi di originalità e fluidità del proprio errabondo pensiero ma altrettanto pagandone le conseguenze, poiché è fuor di dubbio che chi agisce in solitario fatica a trovare spazio entro griglie sistematiche.
Azzardiamo invece un’altra, e spericolata, “Ipotesi Fiume”: ovvero che il pittore siciliano fosse in realtà un po’ troppo avanti rispetto ai suoi tempi e che pur disordinatamente, senza una precisa strategia, abbia intuito qualcosa che la nostra epoca riesce a leggere meglio del passato. Il ciclo in questione, approntato tra 1983 e 1992, funziona come un “remix” pittorico, un geniale anticipo della teoria della postproduzione in voga dagli anni Novanta, però raramente messa in pratica attraverso tele, colori e pennelli. Ci troveremmo dunque in presenza di un approccio radicalmente concettuale alla pittura, clamoroso per un figurativo puro e, talora (ma a questo punto ci viene il dubbio) tacciato di anacronismo.
Rispetto al de Chirico autocitazionista, che Renato Barilli identifica come l’archetipo della pittura concettuale (mi riferisco alla mostra La ripetizione differente da lui curata allo Studio Marconi di Milano nel 1974), Fiume compie un deciso salto in avanti. In pratica decide di “ospitare” all’interno delle sue tele le repliche di altri colleghi, padri putativi, punti di riferimento: se da una parte possiamo considerarli degli omaggi, convince di più l’idea che abbia voluto in qualche misura, e con ironia, autoconsacrarsi all’interno della storia dell’arte, di una propria idea di storia dell’arte appunto “tutta contemporanea”, che poi è ciò a cui tutti più o meno aspirano. L’originalità del progetto consiste quindi nella lettura orizzontale della storia, un unico spazio in cui possano coesistere cose diverse in una sorta di non tempo astratto e anticonvenzionale…