GLI AFFRESCHI DI FIUMEFREDDO BRUZIO

 

Durante l’estate del 1975 Fiume affrescò le pareti di un castello semidiroccato nella cittadina calabrese di Fiumefreddo Bruzio (Cosenza). Dipinse tredici pareti fra quelle interne ed esterne del castello settecentesco che avevano per soggetto tre storie, due di vita medioevale e una che raccontava la vicenda di una bellissima schiava calabrese imprigionata dai Turchi. Al ritorno dal soggiorno a Fiumefreddo Fiume realizzò una serie di dipinti ispirati alle antiche invasioni saracene avvenute in quelle terre nel IX secolo. Purtroppo col passare del tempo le intemperie hanno distrutto quasi completamente gli affreschi del Castello di Fiumefreddo. Nell’estate del 1996, all’età di 81 anni, Fiume ridipinse gran parte delle pareti interne. Nel 1976, invece, Fiume dipinse i miracoli di San Rocco dentro la cupola di una chiesetta dedicata al Santo del piccolo paese calabrese. La composizione illustra quattro aspetti della vicenda vissuta dal Santo in Italia quando, proveniente dalla Francia, in pellegrinaggio per Roma, trovò la peste. Nel primo è rappresentato l’incontro di San Rocco con quel terribile flagello, nel secondo la cacciata della morte; nel terzo Fiume illustra la fede che si diffonde tra le popolazioni colpite dal morbo mentre nel quarto si narra il ritorno alla vita, simboleggiato dalla evocazione biblica di Adamo ed Eva sotto un albero che è fiorito là dove era rinsecchito e bruciato. 

 

TESTI CRITICI

SALVATORE FIUME

 

Ho dipinto i miracoli di San Rocco dentro la cupola di una chiesetta dedicata a quel Santo nel piccolo paese della Calabria chiamato Fiumefreddo Bruzio. Nessuno mi ha chiesto, né ordinato quel lavoro. Io stesso ho pregato le autorità di lasciarmelo eseguire perché fin dal 1959 desideravo decorare una cupola come Goya aveva fatto a Madrid nella cappella di San Antonio de la Florida. La potenza con cui Goya aveva rotto gli schemi tradizionali della rappresentazione di fatti religiosi mi aveva sconvolto e affascinato. Nel 1959, in occasione di un mio viaggio in Spagna, con negli occhi ancora tutta la pittura del Rinascimento italiano, vedevo per la prima volta nella cupola goyesca un nuovo modo di rappresentare gli avvenimenti d’ordine soprannaturale in mezzo alle miserie terrene. Goya, pittore poco religioso, si era preoccupato di dare maggior risalto al dolore umano e allo smarrimento degli umili piuttosto che al privilegio del Santo di poter operare miracoli e dispensare guarigioni. Non si trattava certo di una polemica sul valore che la Chiesa annette ai Santi, ma semplicemente di un modo nuovo, alquanto dimesso rispetto a quello rinascimentale, di rappresentare gli interventi soprannaturali sulla umanità sofferente, spesso incredula e perfino volgare. Siffatte rappresentazioni all’interno di una chiesa possono dar luogo ad equivoci: possono apparire perfino delle profanazioni del luogo sacro. Ma a ristabilire l’equilibro interviene, come nel caso della cupola di Madrid, la bellezza della pittura di Goya che è anch’essa un miracolo, secondo me, di natura non meno divina di quella dei miracoli del Santo della Florida. Un vuoto semisferico posto in alto ha il potere di attirare non soltanto lo sguardo ma anche lo spirito quando si trovi all’interno di un luogo sacro. Chi volge gli occhi verso il cielo, quasi sempre, abbandona per un istante le sue cure terrene. Il pittore del nostro tempo che si avventuri in una esperienza come quella di Fiumefreddo non conosce le difficoltà del dipingere su di una superficie concava che si direbbe rotante per la infinità di scorci che vengono a crearsi ad ogni spostamento del punto di vista. Naturalmente lassù il pittore deve far sì che l’intera composizione sia leggibile, dal basso, con una sola occhiata al massimo con due. Ho dipinto la cupola di San Rocco, santo protettore degli appestati, proprio nei giorni in cui a Seveso una nube tossica, sprigionata da una fabbrica di non so quali prodotti venefici, invadeva una gran parte della Brianza ammalando la gente del luogo e perfino la terra e le piante. Forse non sarei riuscito a rendere tanto drammatico il racconto della peste, né così efficace lo slancio di San Rocco nel cacciare la morte se in quei giorni non fossi stato turbato dalla tragedia di Seveso, paese vicino a Canzo dove io ho la mia casa, i miei familiari e il mio laboratorio. Credo che lo stato di tensione in cui ci trovammo tutti nell’estate del 1976 contribuì a farmi cominciare e finire, quasi in trance, l’intera decorazione in solo dodici giorni. I temi della decorazione sono, appunto, la peste e i miracoli di San Rocco. La composizione illustra quattro aspetti della vicenda vissuta dal Santo in Italia quando, proveniente dalla Francia, in pellegrinaggio per Roma, trovò quel terribile flagello. Nel primo è rappresentato l’incontro di San Rocco con la peste. Nel secondo: la cacciata della morte. Nel terzo: la fede che si diffonde tra le popolazioni colpite dal morbo; e nel quarto: il ritorno alla vita simboleggiato dalla evocazione biblica di Adamo ed Eva sotto un albero che è fiorito là dove era rinsecchito e bruciato.