L’ARCHITETTURA

Dell’architettura Fiume ebbe una visione molto personale, che espresse attraverso vari disegni, modelli plastici e in molti dei suoi dipinti noti come Città di statue e Isole di statue. L’idea centrale della sua concezione architettonica è quella di una architettura ‘antropomorfa’ e ‘zoomorfa’, i cui edifici sono concepiti come enormi sculture abitabili. I suoi progetti architettonici, per ora rimasti allo stadio di progetto, anticiparono di molti anni lo spirito di libertà creativa oggi divenuta parte essenziale della nostra cultura. Quello che alcuni anni fa sembrava inconcepibile ora è divenuto necessario per caratterizzare un luogo, un museo, una residenza abitativa. Per questo la Fondazione Salvatore Fiume si augura di poter realizzare un giorno una sua architettura come sede del museo delle sue opere.

TESTI CRITICI

DANILO GATTI

Difficile trattenere la sorpresa quando, giunti in cima alla labirintica filanda di Canzo, ci si imbatte per la prima volta nei modellini degli edifici progettati da Salvatore Fiume. Non serve certo dire che si tratta di una produzione estremamente personale. È fortemente necessario dire che non si tratta di semplici passatempi: Fiume desiderava realmente che questi progetti diventassero realtà; costruzioni in cemento armato, legno, pensate appositamente per un determinato luogo come nel caso del complesso per Favignana. L’incredibile di questi progetti sta nella capacità di sfidare qualsiasi preconcetto l’osservatore abbia riguardo al “fare architettura”; incredibile è che questo “essere insolita” valeva per gli anni settanta e ottanta, anni in cui Fiume lavorò a questi progetti, e vale tutt’ora, malgrado il nostro occhio sia abituato a vedere le più incredibili creazioni architettoniche.

Occorre anzitutto dire che Salvatore Fiume non è un architetto di professione, ma all’interno della sua opera pittorica si sviluppa, sin dall’immediato dopoguerra, una personale ricerca intorno allo spazio e intorno alle modalità di organizzazione di quest’ultimo: nelle sue celebri città di statue, caratterizzate da quello che Dino Buzzati chiamava “complesso di Golia”, cioè quel misto di timore reverenziale e fascinazione che suscita tutto ciò che su tutt’altra scala rispetto all’uomo che ne fa esperienza; anche il tempo sembra sospeso: l’architettura appartiene ad un’altra dimensione. Come suggerisce Alberto Galardi nel suo libro dedicato all’architettura di Salvatore Fiume, questi edifici sembrano “arcaici simulacri di Dei riemersi dal mattino dell’umanità, con tutto il loro mistero”. L’attività di scenografo intrapresa dal maestro  negli anni cinquanta è ulteriore conferma della vocazione di Fiume per l’organizzazione dello spazio.

Ed è sempre questo “complesso di Golia” ad abitare i progetti di Fiume; ma ciò che rende la sua proposta ancor più personale, e ai nostri occhi destabilizzante, è che la sua architettura è, come indicato tra l’altro da un suo quadro del 1968, fondamentalmente figurativa. Dopo quasi mezzo secolo di funzionalismo, Fiume propone forme zoomorfe o antropomorfe completamente slegate da qualsiasi determinazione extra-progettuale: non è la funzione a determinare la forma, questa si fa autonoma, si costituisce come immagine nello spazio che, nella sua semplicità e riconoscibilità, diviene immediatamente comunicativa. Alla figura prometeica che il Movimento Moderno attribuiva all’architetto, Fiume sostituisce l’artista creatore di immagini; alla preminenza del disegno in pianta nello sviluppo delle forme architettoniche, si preferisce un approccio che considera direttamente la costruzione come figura nello spazio. Questa libertà di approccio e di ricerca è senza dubbio uno dei caratteri più determinanti della produzione architettonica di Fiume, e risponde perfettamente alla sua volontà di rinnovare un linguaggio architettonico che, rischiando di arenarsi sull’equazione funzione=forma, finiva spesso per dimenticare l’esigenza di bellezza di un abitare più autenticamente umano.